21 settembre 2015, Olympia. Il re Cremisi è tornato

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EruditeEyes
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21 settembre 2015, Olympia. Il re Cremisi è tornato

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L’attesa e il teatro
La fila fuori dall’Olympia è notevole. Ci sono molti italiani e dietro a noi due finlandesi che hanno assistito al concerto la sera prima e, da quanto ne son rimasti entusiasti, provano a vedere se ci sono ancora dei posti ... Il pubblico è composto ovviamente da ex-giovani e diversamente giovani. Ci sono anche dei giovani veri e propri ma sono in netta minoranza.
Ci si scambiano già delle battute e opinioni. Dei ragazzetti distribuiscono dei volantini pubblicitari di un concerto di rocckettari stile Kiss che noi prendiamo con un sorriso compassionevole. "This is not for us".
Appena dentro c'è l'assalto all'angolo dei gadgets. Compro, ad un prezzo indicibile, una maglietta con l'uomo schizoide che non so quando mai metterò. Poi il teatro. Le pareti nere sembrano quelle di un enorme locale a luci rosse e i sedili sono attaccati ai muri così i due corridoi centrali sono l'unica via di accesso (e ciò si rivelerà drammatico...). Però per fortuna la platea è leggermente in discesa così dai sedili (che non sono numerati e ciò accrescerà a dismisura il suddetto dramma) si vede bene il palco.
Due parole, prima di cominciare, sugli spettatori francesi. Moltissimi sono arrivati in ritardo. Il casino per trovare posto era aumentato dalla carenza di corridoi e dalla totale assenza di numerazione delle file con le maschere che facevano i salti mortali. Ad un certo punto ho davvero temuto per un esito sfortunato della serata. La cosa che mi ha fatto imbestialire ancora di più è stato quando, dopo lo scioccante annuncio del ritardo dell'inizio del concerto ( in realtà già iniziato con i soundscapes che andavano e le luci spente), si sono rialzati per andare a bere o a pisciare proprio quelli che si erano appena seduti arrivando in ritardo ! Vi potete immaginare gli accidenti in ogni lingua che gli ho lanciato contro, cercando di farmi sentire e capire. Dei nordici dietro a me erano ugualmente inorriditi (devo dire che ogni italiano, che avevo individuato come tale, è arrivato per tempo ed è rimasto al suo posto).
Alcuni comportamenti spiacevoli sono continuati nel senso di continui andirivieni, senza contare la sicurezza che si agitava per ogni telefono sollevato ad altezza testa. Tra l'altro uno si è anche sentito male e l'hanno portato via a braccia....Non ultima una cosa che non accetto: il dover riempire con urletti i silenzi...(devo dire emessi solo dai pochi giovani presenti). Negli "zitti" fra gli stacchi di batteria, che tutti voi conoscete bene, di Pictures of a city e di 21st century ci infilavano sempre un "uhu" stupido e incongruo. Addirittura poi, molti non hanno capito che in un paio di brani di sola batteria, il pezzo era diviso in movimenti, come per la musica classica da camera (immagino idea di Fripp) e così ci infilavano l'applauso tra un movimento e l'altro... Va beh, per fortuna nulla di tutto ciò ha però inficiato il buon esito della musica regalataci dal Re Cremisi, al massimo della sua forma, anche se forse ci ha fatto perdere qualcosa come vedremo, ma ora passiamo alla musica.

IL RE CREMISI E’ ARRIVATO
Altre volte avevo rivisto i King Crimson in concerto ma mai come questa volta ho percepito, abbiamo tutti percepito, lo spirito del Re Cremisi. Forse perché nelle altre esibizioni suonavano sempre brani del periodo del concerto e non i vecchi miti come stavolta, o forse perché è tornato anche Collins, o perché non c'è più Belew (che è stato molto importante come creativo e leader dal vivo), chissà. Certo è che mi hanno ammaliato come non mai.
Eccoli quindi che arrivano sul palco. Hanno tutti dei completi grigi o neri. Si tolgono le giacche ma alcuni hanno il gilet sotto e Rieflin (batterista…) tiene addirittura la cravatta per tutto il concerto…
Partono con una liberissima interpretazione di Lark's tongues in aspic part one. Il pezzo, sempre molto amato da Fripp, è reso alla grande dai batteristi, Collins ha ampio spazio (lo avrà per tutto il concerto) e, al flauto, ci infila pure qualche scherzosa nota della marsigliese. Nota: questo momento sarà quasi l'unico di rapporto con l'audience. Ecco se si vuole fare una critica ai KC, (e me la levo subito...) si può senz'altro dire che l'interattività con l'audience è davvero minima.
Appare poi, ritirata fuori da qualche cassetto, Pictures of a city, con ancora un ottimo Jakko al canto e un grande Collins al sax tenore. Un revival apprezzatissimo da tutti.
Segue un brano inedito, Meltdown, molto in stile periodo Discipline, addirittura cantato (preludio ad un nuovo album?). I batteristi iniziano a far sentire la loro potenza e armonia.
Jakko canta ancora nel successivo A scarcity of miracles. A Jakko vanno fatti i complimenti per la voce sempre controllata, mai gracchiante, con l’aggiunta che deve farlo mentre suona uno strumento che mal si accoppia con il canto, la chitarra “semi-solista”

L’ORCHESTRA DI BATTERISTI
Arriva adesso il primo dei quattro brevi pezzi di sola batteria che collegano i vari momenti del concerto. “Sola” batteria per modo di dire…Come descrivere l’ensemble creato dai tre? Magico, travolgente, ma anche acuto, raffinato, soprattutto vario. A parte che ogni tanto Rieflin ci infila una specie di mini celesta o pianolina, Pat ha i suoi carabattoli metallici e tutti hanno i pad elettronici che producono suoni percussivi intonati o specie di gamelan indonesiane, ma insomma sono “assoli a tre” che non vorresti mai finissero tanto ti prendono. Sono composti di più movimenti e elaborati con variazioni minime da musica seriale, con cambi di accento che sembrano nulla ma che poi mutano completamente il ritmo del brano. Poi ci sono esplosioni di potenza, come in The Talking drum mi sembra, in cui, partono tutti e tre in simultanea, con due bacchette per mano, cioè 12 bacchette che picchiano sui timpani…una roba da rigirarti come un guanto…
Negli altri brani, a parte i momenti di unisono, i tre in genere hanno funzioni diverse. Harrison (il ragazzino del gruppo, ha solo 52 anni…) costituisce la base ritmica di tutto il concerto. Solo nella prima parte di Starless lascia il compito a Pat rimanendo, unico momento in due ore, con le mani in mano. Per il resto è una macchina instancabile ma anche multiforme. Da sottolineare dieci volte il suo lungo assolo in 21st century che riscuote addirittura l’applauso di Mastelotto. E’ un capolavoro assoluto, forse il più bell’assolo rock che abbia mai sentito, per varietà e ritmica, spaziando da giochi di piatti a raffinate ondulazioni sul rullante fino ad una fantasmagorica rullata con i due pedali delle grancasse !! Rieflin, invece, elegantissimo nei movimenti, agisce spesso in controtempo con Harrison, senza contare che toccano a lui il mellotron e qualche accenno di synth per cui non di rado si stacca dalle pelli. Mastelotto si agita all’interno del suo immenso set di ferri e percussioni varie, si alza per arrivare ai piattini più lontani, muove lamiere davanti ai microfoni, insomma abbellisce tanti brani, ma è anche un notevole “picchiatore” quando ci vuole l’energia perché è uno che non ne ha poca.
Insomma, un’ennesima grande idea dell’Uomo con uno scopo (come si autodefinì Fripp tanti anni fa) quella dei tre batteristi che ha entusiasmato tutti .

IL PALCO SI DIPINGE DI ROSSO CREMISI
Il concerto cresce di intensità. Arrivano i brani tecnicamente complessi e cerebrali di fine anni novanta, Level five e The ConstruKtion of light. Fripp ancora rimane coperto, lasciando a Jakko anche parti soliste che erano sue. Se ne sta di profilo guardando gli altri. Solo qualche raro sorriso verso le smanie di Collins e di Harrison, cenni di assenso verso il vicino Jakszik e per il resto è una statua di sale. Ma ecco, tra le acclamazioni felici del pubblico, Epitaph e qui Fripp lascia per pochi minuti la chitarra per alcune parti di mellotron (addirittura ce ne sono due insieme per un po’, visto che Rieflin lo suona per tutto il brano) mentre Jakko produce il famoso arpeggio e si esibisce benissimo, con l’appoggio di Levin, nelle potenti parti cantate del brano. Unica nota tecnica al di sotto della pura perfezione di tutto il concerto Jakko sembra non essere contento del suono prodotto dal RE e dal SOL della sua chitarra e incredibilmente le riaccorda in un attimo, in quel popò di casino, accostando l’orecchio al manico ! Però nel far questo perde la prima parola della terza strofa di Epitaph. Tutto qui. Il resto è stata perfezione allo stato liquido come mercurio, un liquido che ci è entrato in testa e che ancora non mi è uscito (per usare una frase alla Bertoncelli direi…).
Ma ora non c’è più respiro per nessuno. C’è Easy Money, cadenzatissima, trascinante. Fripp sta uscendo fuori e ci spara le sue lame contro (ovvia, m’è presa alla Bertoncelli ora…). Segue The Letters, rifatta in un modo tale che ora è un vero capolavoro. Mister Fripp ci regala dodici secondi di assolo di passaggio che ci fano venire un brivido come una scossa di terremoto. Ma, senza darci tempo di riprendere fiato è subito Red, quasi meglio che nell’album omonimo dove era perfetta. I batteristi ci saltano addosso…(subito dopo c’è The Talking Drum che vi avevo descritto prima nei soli di drumming). E’ la volta di Lark’s tongues in aspic Part two che però sembra solo un modo per arrivare al gran finale: Starless. Nel frattempo le luci, prima fisse e su un bianco giallastro diventano con una lentezza esasperante sempre più rossastre lasciando il palco, negli ultimi brani, totalmente dipinto di cremisi. Starless dicevo…Cosa dire, è il pezzo che secondo me dovrebbe andare nello spazio a rappresentare l’umanità assieme ai concerti di Bach… La summa del progressive (ma è molto di più), viene eseguita con una classe, un rispetto, una cura unici dai due creatori, Collins e Fripp perfettamente seguiti da tutti gli altri. E’ un brano in cui chiaramente Mastelotto si sente Bruford, Jakszik vuole cantare come Wetton e Levin ripetere il suo basso. E ci riescono. Commovente, poco altro da dire.
Il concerto finisce nell’ovazione totale dei presenti, ma è solo la consueta teatrale pausa per il preordinato bis che, per la libidine finale, non può che essere 21st century schizoid man, cioè l’inizio di tutto. Per non perdere il ritmo il capolavoro è preceduto da Devil dogs of tessellation row, ultimo gioiello dei tre batteristi. In 21st century ognuno da il massimo e si vede e si sente. Ovvia ovazione finale con vana richiesta di un secondo bis. Come dicevo, secondo me l’indisciplina del pubblico ci è costata, nel bis, l’esibizione di The Court of the Crimson King, che invece è presente nelle scalette degli altri due concerti di Parigi…
Comunque una serata spaziale, insuperabile. Un’emozione profonda che oggi mi fa sentire diverso. Non credo che adesso potrò andare a sentire qualcun altro per molto, molto tempo.
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