George Harrison e Phil Collins

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Hairless Heart
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George Harrison e Phil Collins

Messaggio da Hairless Heart »

Questa è stata postata in un altro forum, ma è troppo bella e ho pensato di piazzarla anche qui.

Il 27 novembre 1970 viene pubblicato il triplo album “All things must pass” di George Harrison. E’ il primo disco del chitarrista inglese dopo lo scioglimento dei Beatles. Viene inciso negli Abbey Road Studios di Londra sotto la supervisione del ‘mitico’ Phil Spector e raggiunge il primo posto nella classifica di vendita sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna. Alla realizzazione dell’album partecipa una lunga lista di artisti di primissimo piano: Eric Clapton, Ginger Baker, Klaus Voorman, Ringo Starr, Gary Brooker, Billy Preston, Peter Frampton, Bobby Keys, solo per citare i più noti. Tra i meno noti ci sarebbe anche, a suonare le congas, un diciannovenne Phil Collins non ancora entrato a far parte dei Genesis. O almeno questo è quel che racconta lui, perché Harrison, scomparso all’età di 58 anni il 30 novembre 2001, ha sempre dichiarato di non ricordarlo. Questa divertente storia viene raccontata dallo stesso Phil Collins nella sua autobiografia “No, non sono ancora morto” pubblicata circa un mese fa. Vale la pena di essere raccontata.
Era il maggio 1970, Phil Collins esce dalla vasca da bagno e si accinge a trascorrere un ‘indimenticabile’ pomeriggio a guardare in televisione ‘Top of the Pops’ in compagnia di pane tostato e fagioli. Il telefono squilla e l’amico Alan Blaikley, amico dell’autista di Ringo Starr Martin, lo invita e dirotta a una seduta di registrazione agli studi di Abbey Road. A Phil poco interessa per chi dovrà suonare, il solo entrare negli studi di registrazione dei Beatles, suoi idoli incontrastati, è motivo di gioia. E anche il doversi cimentare in qualità di percussionista e non di batterista quale è rientra nella poco significativa categoria dei dettagli. La canzone su cui deve prestare la propria opera è “Art of dying”. Phil, vuoi per inesperienza, vuoi perché alle prese con uno strumento non proprio suo, non è impeccabile, ma ce la mette tutta. Dice Phil : “Siccome non sono un percussionista, e forse anche per via dell’ansia, probabilmente esagero. Pesto davvero duro. Dopo un’ora ho le mani in uno stato pietoso: in carne viva, piene di vesciche”. Lascia gli studi e torna a casa. Qualche settimana più tardi nella casella della posta si trova un assegno da quindici sterline della EMI per i servizi resi al signor George Harrison per la realizzazione dell’album “All things must pass”.
Ora a Phil non resta che attendere l’uscita dell’album per poi bullarsi con il mondo intero. Il disco finalmente raggiunge i negozi il 27 novembre 1970. E’ un album triplo. Mentre se lo gira tra le mani Phil pensa “Qui dentro…ci sono io…nel disco di un beatle”. Lo apre, scorre i crediti, ci sono tutti i nomi dei musicisti che aveva visto ad Abbey Road, tranne uno…il suo. La delusione è grande, anzi grandissima. Ancora più grande quando scopre, ascoltando il disco, che delle congas in “Art of dying” non c’è alcuna traccia. Nella autobiografia Phil Collins dice che la cosa l’ha tormentato per diverso tempo. Non voleva rassegnarsi al fatto che la canzone fosse stata prodotta in altro modo, in un modo che non prevedeva le congas.
Gli anni passano e Phil Collins diventa Phil Collins. Nel 1982 in una sessione di lavoro con Gary Brooker dei Procol Harum (anche lui presente durante le sessions di “All things must pass”) incontra George Harrison e gli si presenta dicendo: “Ciao, George, in realtà ci siamo già conosciuti…” e gli racconta degli Abbey Road Studios dodici anni prima. George risponde: “Davvero, Phil? Non me lo ricordo per niente”. Il tempo scorre ma Phil ha sempre un tarlo in testa…non è che per caso mi hanno scartato da “All things must pass” perché non ero abbastanza bravo? Passa ancora qualche anno e si arriva al 1999, Phil è alla festa di compleanno dell’amico e leggenda dell’automobilismo Jackie Stewart. C’è anche George Harrison. Phil non perde l’occasione per tornare nuovamente sull’argomento, ma il chitarrista, dispiacendosi, dice che veramente non ricorda nulla di quanto accaduto a Abbey Road nel 1970. L’anno seguente Phil incontra un giornalista musicale, questo il dialogo riportato in “No, non sono ancora morto”. “Phil, tu hai suonato in “All things must pass”, vero?”. Dentro di me grido: “Sì! certo che ci ho suonato!”. Ma cerco di darmi un tono davanti a quello sconosciuto e gli dico: “Beh, è una storia lunga…”. Poi mi fa: “Lo sai che George lo sta rimixando per un’edizione del trentesimo anniversario? Conosco George, e dato che ha tirato fuori tutti i master, gli voglio chiedere se riesce a trovare il tuo pezzo”. “Sarebbe fantastico. Sì, sarebbe fantastico. La canzone è ‘Art of dying’. Quanto tempo pensi che ci voglia?”.
Qualche giorno dopo un postino gli consegna un pacchetto. Sul biglietto scritto a mano che lo accompagna c’è scritto: “Caro Phil. Forse qui ci sei tu? Baci, George”. L’emozione è incontenibile, Phil scrive che è come se avesse in mano il Sacro Graal, la conferma tangibile che il suo non è stato tutto un sogno. L’emozione è talmente tanta che è difficile anche trovare la forza per ascoltarlo. Poi…viene raccontata così. “Infilo la cassetta e premo play. C’è un po’ di fruscio, poi comincia la batteria. Poi dagli amplificatori esplode il suono delle congas. A un orecchio allenato i difetti di quello sbatacchiare aritmico e straziante sono subito evidenti. Hanno scatenato in studio un bambino iperattivo. Beh, si capisce che il musicista aveva una parvenza di talento: non è del tutto incasinato. Ma è abbastanza incasinato perchè chi comanda dica: “Liberatevi di quel ragazzo!”. Sono sconvolto. Non mi ricordavo di avere suonato così male. Il pezzo finisce lentamente man mano che i musicisti terminano di suonare. Poi sento una voce molto chiara. E’ Harrison che parla con Spector. “Phil? Phil? Pensi che possiamo riprovarla un’altra volta, ma senza il suonatore di congas?”. Riavvolgo quel nastro quattro o cinque volte fino a essere sicuro di avere capito giusto. All’improvviso, finalmente, la verità.
Qualche giorno più tardi suona il telefono di casa Collins. E’ Jackie Stewart, il vecchio asso del volante che dice: “Credevo di vederti l’altra sera al concerto in onore di John Lennon alla Royal Albert Hall…” “C’era un concerto? Non lo sapevo” “Sì, è stata una serata fantastica. C’erano un sacco di batteristi.” “Davvero?” “Sì. E un sacco di suonatori di congas”. Sono perplesso. Continua Jackie Stewart: “C’è un tuo amico qui con me, ti vuole parlare”. Passa il telefono e sento la voce di George Harrison. “Ciao, Phil. Hai ricevuto la cassetta?” “Sei un gran bastardo, George”. “Come? Ma perchè?” “Beh, per trent’anni mi ero costruito la mia versione di quello che è successo quella sera, e del perchè ero stato tagliato da “All things must pass”. E adesso ho capito che ho fatto talmente schifo che tu e quel Phil Spector del ca**o mi avete licenziato”. Harrison scoppia a ridere. “Ma no! Quella cassetta l’abbiamo registrata l’altro giorno”. “Come? In che senso?”. “Era venuto Ray Cooper ad aiutarmi a remixare l’album. Gli ho detto di suonare male le congas sopra “Art of dying” così preparavamo una versione speciale per te!”. Ma allora sei davvero un gran bastardo, George. George mi ha poi detto che cosa era successo alla parte che avevo registrato io? No. Non se lo ricordava. Non si ricordava niente di quelle sedute. Ci credo, ma faccio fatica a capirlo. Come fai a non ricordarti l’incisione di “All things must pass”? Forse se sei un Beatle le cose da ricordare sono troppe, quindi a volte è più facile dimenticarsele. Nel libretto accompagnatorio di quella edizione per il trentesimo anniversario, uscita nel marzo 2001, sei mesi prima della sua morte, ci sono delle nuove note di copertina scritte da George in persona, e finalmente, eccomi: “Io non me lo ricordo, ma a quanto pare c’era anche un Phil Collins adolescente…”. George, sempre sia lodato, mi ha spedito una copia della riedizione remixata di “All things must pass”. Fenomenale, anche se naturalmente sarebbe migliorato di molto se avesse contenuto la mia versione di “Art of dying”. Ovviamente ho conservato quella cassetta con lo scherzo delle congas. E’ una delle cose a cui tengo di più. Alla tua salute, George, adorabile bastardo.


http://www.rockol.it/news-665417/scherz ... refresh_ce

(decisamente il titolista non ci ha capito una mazza....)
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-Si stava meglio quando si stava peggio.
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da 2Old2Rock2Young2Die »

[smile] Aneddoto gustosissimo che dice molto anche sul carattere di Harrison! Ho letto anche un altro estratto dove Collins ricorda il primo incontro con i Genesis in modo molto vivido e divertente. Mi sa ce me la faccio regalare a Natale.
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theNemesis
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da theNemesis »

Beh... due giganti della musica... George salace e cattivello nei suoi scherzi, Phil puntiglioso ma alla fine sta al gioco.
Due grandi personalità.... 8-)
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Il mago di Floz
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da Il mago di Floz »

:) Bellissimo aneddoto.
I can't bring you, 'cause it's just too cold; and while I'm out here digging alone, well: I'll bring you home gold nuggets in the spring.
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Lamia
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da Lamia »

E' una storia che ha dell'incredibile! 8-) . . .un aneddoto simpatico ma che rivela anche le grandi emozioni di un giovanissimo Phil che, nonostante il percorso di successo, continua a sperare, a non dimenticare, insomma, a voler esserci in un disco di un Beatles, segno della grande ammirazione per questo grande gruppo.
Harrison e' un burlone! . . .ma gli inglesi sono cosi, loro si prendono molto in giro ... povero Phil! :D
2Old2Rock2Young2Die
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da 2Old2Rock2Young2Die »

Audizione coi Genesisss....

After some furrowed-brow map-reading and a couple of wrong turns up country lanes, we arrive at the address we’ve been given. Ronnie noses the Morris Minor up an appropriately crunchy gravel drive and we pull up outside an oversized, beautiful country pile. Our guitars and drums seem to spew out of the car, instantly making the whole scene look a lot less tidy. I’m suddenly self-conscious of my apparel. My lived-in flares and T-shirt look a little downmarket for this gig. I ring the bell, and after what seems an age a distinguished-looking, middle-aged woman opens the door. Somehow Mrs. Gabriel works out that we’re not here to sell Encyclopædia Britannica or join her bridge circle. We must be here to try out for her son’s pop group.

“Oh, do come in,” she says, smiling. “You’re a little early. Please feel free to have a swim while you’re waiting.”

I think, “Wow, trees and a swimming pool.” Things are looking up. If only I’d thought to bring my swimming trunks to this rock’n’roll audition. But trunks or not, I decide to take the plunge. If I’ve learnt anything over the last couple of years, it’s to grab any and every opportunity. Who knows if I’ll ever again get the offer of a dip in a private heated pool in the countryside. I nonchalantly slip off my jeans, leaving me in just my graying Y-fronts, and jump in. The pool is lovely. This is first-class luxury.

We’ve arrived a couple of drummers early and, as I’m splashing about, I hear my rivals go through their paces. The standard is decent and I quickly appreciate what I’m up against. I keep my head down in the water a bit longer, calming my nerves. I later discover that Peter’s ather works at ATV television. Or, perhaps, owns it.

Fresh from my swim, I heave my Gretsch into the garden and, following Mrs. Gabriel’s directions, go through to the back terrace, trying not to knock over any of the ceramics or statuary. The first person I see is a tall, distinguished-looking fellow in carpet slippers and what looks like a Noël Coward smoking jacket.

The only thing missing is a Sobranie being inhaled through a cigarette holder. He’s youthful-looking, but wonderfully casual, the kind of guy you want to be when you grow up. But if this is Peter Gabriel’s dad, how young is Gabriel?

Turns out it’s not his dad, it’s his band mate. Mike Rutherford, nineteen, is the bassist/guitarist with Genesis. Like my dad, his dad has a lot of experience of boats. Except his dad is a Royal Navy admiral.

A grand piano has been hauled onto the terrace, and hovering in the shadows, about to play it, is another chap. He introduces himself as Tony Banks, Genesis’ twenty-year-old keyboard player. My first impressions? I don’t really have any. Tony is reserved to the point of invisibility, another politely spoken young man who won’t say boo to a goose—unless, I soon find out, that goose plays the wrong chord.

Finally I meet Peter Gabriel. He’s twenty and cut from the same fine cloth as his band mates. His demeanor can be summed up as hesitant, one hand clutching the other arm at the elbow, almost shy, very embarrassed, don’t-look-at-me-I’m-not-here. He’s in charge—well, his parents are, it being their house—but doesn’t want to be seen to be in charge.

“Um,” he begins, “maybe we should go indoors and listen to the album in the living room?” These three, I later learn, are old school friends. Their alma mater is Charterhouse in Surrey, a grand and exclusive—not to mention expensive—400-year-old Church of England private boarding school of significant educational repute. It’s a boys-only establishment that, by definition, prizes tradition, heritage, discipline, sporting and academic achievement, and much arcane phraseology and terminology. Former pupils like Mike, Peter and Tony are known as Old Carthusians. Charterhouse also lays claim to having helped invent football.

In short, it’s posh with a capital p, and not much like the Barbara Speake Stage School at all.

It will take me awhile to understand these dynamics. Tony and Peter, for example, are the best of friends, and the worst of enemies. Tony is prone to losing his temper, but this only makes itself apparent later, with Peter and Tony taking it in turns to storm out of studios in a huff. Mike keeps a delicate balance between the two. But all three of them are what they are: ex–public school boys, with all the privilege and baggage that comes with that kind of background. Immaculately bred as officers and gentlemen for a bygone age—perhaps less obvious fodder for a rock group emerging from the tumult of the swinging sixties.

Equally, I don’t know at the time how close they’ve come to splitting, and therefore how much is riding on these auditions. Nor am I aware that Genesis’ finely balanced creative symmetry has had the legs kicked from under it. Previously Genesis had the benefit of two pairs of writers, Mike and Ant, and Tony and Peter. And then there were three.

So the atmosphere today chez Gabriel is fragile, and tense. Also frightfully reserved, highly strung, not a little rarefied and terribly uptight. In sum, then, nothing at all like me or my background. What could possibly go right?

But there’s one thing we all do have in common: we’re all good musicians.

Right now, though, Ronnie and I are oblivious to these subtleties and undercurrents. We’re sitting, alongside the handful of other disorientated hopefuls, in a giant living room made all the more cavernous by the absence of the grand piano. Now sitting on the terrace, by the swimming pool, it lurks under a giant umbrella. It’s a still-life, like Dalí by way of Storm Thorgerson, an image in search of the sleeve of a seventies prog-rock album.

Peter appears, brandishing the as-yet-unreleased Trespass. He plays three tracks: “Stagnation,” “Looking for Someone,” “The Knife.” Truth be told, I don’t quite know what to make of it. I don’t think much of the drumming—it’s a little clumsy, and there’s not much groove. There are some soft harmonies that remind me of Crosby, Stills & Nash. But the whole record seems like a…blancmange. You could put your finger in it and it would somehow reseal.

Ronnie goes off to give it a shot on the 12-string with Mike. Then, once Mike reappears, I finally get my turn. We move on to the terrace. Based on that quick, one-off exposure to the tracks from Trespass—an album with only six tracks, each averaging seven minutes—I’m trying to get a feel for Genesis. Now, as Tony starts on piano, Mike on guitar and Peter on his bass drum (he reckons himself a drummer, which will prove perilous in the months and years ahead), I have to join in with whatever I feel appropriate at the required moments.

We do three or four songs, including Trespass’s epic closer “The Knife,” and some acoustic bits, to see how sensitive I really am to acoustic music.

I’m the last drummer that day and I’m trying to divine how well—or otherwise—I have done. To no avail. These are tightly wound English public schoolboys, and reserve and politesse are their key fighting skills. They will, they say gravely, “let me know.”
he Morris Minor and start heading back to London, back to the real world.

“Yeah, I think you blew that,” offers Ronnie helpfully. “I think I did well, but you definitely blew it.”

“Really?” I reply. “No, I thought I did all right.” We’re arguing again already.
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Lamia
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da Lamia »

.... magari in italiano ? [smile]
2Old2Rock2Young2Die
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da 2Old2Rock2Young2Die »

E vabbé per i diversamente anglofili [smile]




Suono il campanello e dopo un' eternità ci apre la porta una signora di mezza età dall' aria distinta. In qualche modo la signora Gabriel capisce che non siamo lì per vendere enciclopedie o entrare nel suo circolo di bridge. Dobbiamo essere arrivati per fare le prove con il gruppo pop di suo figlio. «Entrate, entrate», dice sorridendo.

«Siete un po' in anticipo. Fatevi pure una nuotata, se avete voglia». Io penso: cavolo, gli alberi e anche la piscina.



Le cose stanno migliorando.

Se solo avessi pensato di portarmi il costume da bagno.


Costume o no, decido di farmi un tuffo. Chissà se mi offriranno mai più di fare un tuffo in una piscina privata riscaldata. Mi tolgo i jeans con noncuranza e rimango solo con i miei slip ingrigiti, poi mi tuffo.

La piscina è fantastica. È un lusso di prima classe.



Scopro che il padre di Peter lavora alla televisione Atv. O forse ne è il proprietario. Fresco di nuotata, porto la mia batteria Gretsch in giardino e seguendo le indicazioni della signora Gabriel passo dalla terrazza sul retro cercando di non far cadere le ceramiche o le statue. La prima persona che vedo è un tipo alto dall' aria distinta con le pantofole chiuse e quella che sembra una veste da camera alla Noël Coward. Ha un' aria giovane, meravigliosamente disinvolta, il tipo che uno vorrebbe essere da grande. Se questo è il padre di Peter Gabriel, quanti anni ha Peter?




Viene fuori che non è suo padre, ma il suo compagno di gruppo. Mike Rutherford, 19 anni, è il bassista e chitarrista dei Genesis. Suo padre è ammiraglio. Fuori in terrazza è stato portato un pianoforte a coda e c' è un altro tizio nell' ombra che si accinge a suonarlo. Si presenta come Tony Banks, il tastierista ventenne dei Genesis. La mia prima impressione? Non ne ho. Tony è riservato a tal punto da sembrare invisibile, un altro giovanotto educato che non farebbe male a una mosca; a meno che, lo scoprirò presto, quella mosca non suoni l' accordo sbagliato.




E finalmente conosco Peter Gabriel, vent' anni. Ha l' aria di provenire dallo stesso ambiente degli altri. Il suo atteggiamento si può riassumere in: esitante, con una mano che afferra il braccio sul gomito, quasi timido, molto a disagio, «non guardatemi e fate come se non ci fossi». È in una posizione di responsabilità (o meglio, lo sono i suoi genitori, dato che la casa è loro) ma non vuole che si noti.



«Ehm - comincia - forse è meglio se entriamo ad ascoltare il disco in salotto». Imparo che quei tre sono vecchi compagni di scuola. Si sono conosciuti alla Charterhouse nel Surrey, una grandiosa ed esclusiva scuola privata della Chiesa anglicana vecchia di 400 anni, con una notevole reputazione (per non parlare del prezzo della retta).


Una scuola maschile che apprezza le tradizioni, il retaggio storico, la disciplina, l' eccellenza nello sport e nello studio e altri concetti altrettanto astrusi.

In breve, è un posto ultra-aristocratico, molto diverso dalla Barbara Speake Stage School che ho fatto io.



Peter e Tony si sono conosciuti all' arrivo alla Charterhouse nel 1963, e Mike si è iscritto un anno dopo. I Genesis si sono formati nel 1967 dall' unione di due gruppi della scuola. Hanno metodi precisi, aspettative precise, e di sicuro modi precisi di relazionarsi l' uno con l' altro. Ci metterò un po' per capire quelle dinamiche.



Per esempio Tony e Peter sono l' uno per l' altro il migliore degli amici e il peggiore dei nemici.



Tony tende a perdere le staffe, ma è una cosa che emerge solo in seguito, con Peter e Tony che si danno il turno a uscire infuriati dallo studio. Mike è in un delicato equilibrio tra i due. Ma tutti e tre sono quello che sono: ex studenti di scuole private, con tutto il fardello e i privilegi che derivano da una formazione di quel tipo.





Allevati impeccabilmente come ufficiali e gentiluomini per un' epoca ormai andata; forse meno adatti come carne da cannone per un gruppo rock nato dal tumulto degli Swinging Sixties. Al momento sono all' oscuro anche di quanto siano stati vicini a sciogliersi, e quindi quanto alta sia la posta in gioco in quelle audizioni.



L' atmosfera a casa Gabriel oggi è fragile e tesa. E anche di una riservatezza atroce, con i nervi a fior di pelle, non poco rarefatta e terribilmente formale.

Per tirare le somme, niente di simile a me o alle mie origini.

Come fa a non andare tutto storto? Ma c' è una cosa che abbiamo in comune, l' unica: siamo tutti bravi musicisti. In quel momento, però, io e il mio amico Ronnie siamo ignari di quelle dinamiche e quei sottintesi.



Siamo seduti, insieme a una manciata di altri disorientati aspiranti, in un salotto gigantesco reso ancora più cavernoso dall' assenza del pianoforte a coda: spostato in terrazza, vicino alla piscina, giace sotto un ombrellone.



Arriva Peter, con in mano l' inedito album Trespass . Ci fa sentire tre pezzi: Stagnation , Looking for Someone , The Knife . Non so bene cosa pensare.

La batteria non mi sembra un granché: un po' goffa, non ha molto ritmo. Ci sono alcune seconde voci che mi ricordano Crosby, Stills & Nash. Ma tutto il disco sembra un... budino: se uno ci infilasse un dito dentro, in qualche modo gli si richiuderebbe attorno.

Ronnie dovrà provare la dodici corde con Mike. Poi, appena Mike ricompare, finalmente arriva il mio turno.



Ci spostiamo in terrazza. Basandomi su quell' unico e rapido ascolto dei pezzi di Trespass cerco di farmi la mano con la musica dei Genesis. Adesso, mentre Tony comincia con il pianoforte, Mike alla chitarra e Peter alla grancassa (si ritiene un percussionista, il che si rivelerà rischioso) devo entrare con qualsiasi cosa mi sembri adatto nei momenti giusti. Suoniamo tre o quattro canzoni, compreso l' epico finale di Trespass , The Knife , e alcune parti acustiche.


Sono l' ultimo batterista della giornata e sto cercando di indovinare quanto bene sono andato (o male). Ma invano. Questi sono tesissimi ragazzi inglesi di una scuola privata, e la riservatezza e la cortesia sono le loro armi preferite. «Ti faremo sapere», dicono con solennitá.
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da Lamia »

Thanks :D

Carino, conosciamo tutti piu' o meno la storia dell'audizione di Phil. Il padre di Peter era un ingegnere e ha progettato lui la piscina riscaldata. Peter , va sottolineato, ha sempre dichiarato dal modo in cui Phil si e' seduto alla batteria , denotava una padronanza dello strumento superiore agli altri, e ha capito immediatamente che era l'uomo giusto per loro, prima ancora di suonare [gg]

Infatti Collins , grazie alla sua diversa estrazione sociale e i suo carattere estroverso e allegro, sciogliera' un po' il ghiaccio genesisiano [happy]
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da 2Old2Rock2Young2Die »

Eh giá. Mi hasempre incuriosito il suo rapporto con Peter. Da un lato ha sempre mostrato una sorta di reverenza, dall'altro spesso lo ha preso, simpaticamente in giro. Per esempio le punzecchiature sulla doppia cassa suonata da Peter dimostrano che non lo ha mai considerato molto come percussionsta.Almeno questa é la mia impressione.
Un'altra cosa che risalta é come, dopo l'uscita di Phillips, il due Gabriel Banks avesse le redini del gruppo. Credo che la fine di questa intesa così forte con il tastierista abbia fatto capire a Gabriel che il suo tempo con i Genesis era finito.
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da Lamia »

Vero, Collins ha sempre dichiarato che sarebbe corso da Peter in qualunque momento lo avrebbe chiamato, come fece durante le session di PGIII. Riguardo la grancassa, Peter la usava anche per mimetizzare la timidezza del palco ( si parla sempre degli anni con i Genesis) , ma siccome a volte picchiava forte e faceva andare fuori tempo Phil , o comunque lo disturbava, mettevano degli stracci dentro la grancassa , all'insaputa di Peter, in modo da attutire i colpi... [smile]
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da aorlansky60 »

da un post qui presente, riguardante le memorie di Phil Collins al suo primo incontro con quella che sarà la sua futura band :

"Tony è riservato a tal punto da sembrare invisibile, un altro giovanotto educato che non farebbe male a una mosca; a meno che, lo scoprirò presto, quella mosca non suoni l' accordo sbagliato.

ah ah ah ah ah [smile] :D :lol:

niente di più vero!... [smile]

e non solo "suonare l'accordo sbagliato" ma entrare -non invitato- nella musica composta e suonata da Tony quando lui meno se lo aspetta... [smile]

è proprio quello che accadde nelle sessions di FOXTROT, "Supper's Ready" per l'esattezza, nella parte "Apocalypse in 9/8" composta per l'appunto dal tastierista, con l'obiettivo che dovesse essere un passaggio esclusivamente STRUMENTALE;

le testimonianze di chi era vicino a Tony nell'occasione (quando egli scoprì -e udì- che Peter Gabriel aveva cantato versi sulla sua base strumentale, IL TUTTO REGISTRATO SUL NASTRO MASTER a sua insaputa) raccontano che "lo dovettero tenere fermo in tre per evitare che mettesse le mani addosso a Peter"... [smile]

ah, questi inglesi!... [smile]

in seguito nel corso del tempo, lo stesso Tony Banks riconoscerà che il cantato di Peter Gabriel aggiungeva lustro alla sua musica, ma in quanto a reazioni di primo acchito Tony era un tipo da trattare con le pinze [smile] e lo stesso dicasi anche, seppure in misura minore, di Peter Gabriel, infatti lo stesso Collins dice che "Peter e Tony possono essere l'uno per l'altro allo stesso tempo i migliori amici come i peggiori nemici"... [smile] ...il buon Phil non ci aveva messo molto tempo a fiutare il "feeling" che regnava in quella band...

ah, questi inglesi!... [smile] ...tsk tsk... :D
Ama tutti, credi a pochi, non far male a nessuno.
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Re: George Harrison e Phil Collins

Messaggio da Hairless Heart »

L'aneddoto riguardante George Harrison e Phil Collins è stato citato ieri sera da Stefano Bollani e consorte, nella trasmissione "Via dei Matti n° 0".
E' seguita una loro esecuzione di What is Life.
-Non ci sono più le mezze stagioni.
-Si stava meglio quando si stava peggio.
-Band on the Run è troppo bassa.
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